FVG: persi 8mila occupati nel decennio 2008-2018. Tra le province cresce solo Trieste

Fvg, persi 8mila occupati nel decennio 2008-2018. Tra le province cresce solo Trieste. Indagine Ires Fvg su dati Istat. Determinanti le dinamiche demografiche È diminuita l’occupazione ma ancora di più la popolazione

Il numero di occupati in Friuli Venezia Giulia, nonostante il recupero degli ultimi anni, è ancora inferiore di quasi 8.000 unità rispetto ai livelli pre crisi (da 518.500 nel 2008 a 510.800 nel 2018). Negli ultimi dieci anni, secondo le stime dell’Istat, tutte le province regionali presentano una variazione negativa, con l’eccezione di quella di Trieste che è passata da 94.500 a 99.100 occupati; all’opposto Udine registra il passivo più pesante (-8.500 unità). Lo rileva il ricercatore dell’Ires Fvg Alessandro Russo in un’indagine su dati Istat.

Il notevole calo dell’occupazione in termini assoluti non è solo una conseguenza della crisi economica, rileva Russo, ma deve essere interpretato anche alla luce delle dinamiche demografiche particolarmente negative che hanno caratterizzato la nostra regione. L’ultimo decennio ha visto infatti una netta flessione del numero di persone in età lavorativa (per convenzione compresa tra 15 e 64 anni) pari a oltre 33.000 residenti in meno. In particolare tra i 25 e i 44 anni la popolazione del Friuli Venezia Giulia è diminuita di quasi 76.000 unità, ed è stata compensata solo in parte dall’aumento della fascia compresa tra 45 e 64 anni (+37.600 residenti). Tale andamento riflette il calo della natalità iniziato già nei primi anni ’70 (con il progressivo esaurimento del boom demografico) e proseguito in misura sempre più accentuata fino ai primi anni ’90, quando è stato arginato dai flussi migratori (ma negli ultimi anni la popolazione sta di nuovo diminuendo). Per completare il quadro negli ultimi anni si assiste ad un fenomeno sempre più consistente di emigrazione verso l’estero di giovani con elevati livelli di istruzione, che contribuisce ulteriormente all’impoverimento del capitale umano. È anche per questi motivi che il tasso di occupazione regionale registrato nel 2018, calcolato come rapporto percentuale tra il numero di occupati e la popolazione nella fascia di età 15-64 anni, ha toccato il livello più elevato da quando sono disponibili le serie storiche (dal 1993), ossia 66,3% (quasi otto punti in più rispetto a quello nazionale). Per raggiungere il tasso di occupazione della media dell’Unione Europea (68,6% nel 2018) il Friuli Venezia Giulia dovrebbe comunque avere circa 18.000 occupati in più.

Come è cambiato il lavoro

Il decennio appena trascorso ha visto anche nella nostra regione una profonda trasformazione del tessuto produttivo – osserva ancora il ricercatore dell’Ires Fvg – che ha comportato una ricomposizione dell’occupazione verso il lavoro dipendente, con una crescita dei rapporti a tempo determinato e una notevole espansione del part time (spesso involontario). Nello specifico rispetto al 2008 si contano 20.900 occupati a tempo determinato in più (pari a + 40,9%), che compensano la flessione dei tempi indeterminati (-16.300, pari a -4,7%). Nonostante questa diminuzione i rapporti di lavoro a tempo indeterminato riguardano ancora l’82% dei dipendenti (contro l’87% di dieci anni fa). L’occupazione indipendente risulta in forte contrazione, avendo perso 12.400 occupati in dieci anni (-10,3%), soprattutto nella componente più tradizionale che è quella dei lavoratori in proprio (commercianti, artigiani e agricoltori). Un altro elemento importante da sottolineare è l’espansione dell’occupazione a tempo parziale (sempre più frequentemente anche maschile), che riguarda ormai un quinto dei lavoratori dipendenti in regione (rispetto al 16% del 2008). La riduzione dell’intensità lavorativa per occupato non dipende, come è avvenuto in passato, dall’utilizzo della Cassa Integrazione Guadagni, che negli ultimi anni si è drasticamente ridotta tornando quasi ai livelli anteriori alla crisi (poco più di 5 milioni di ore autorizzate nel 2018 contro i 4,3 milioni del 2008), ma dalla diffusione di rapporti di lavoro part time e con carattere discontinuo. Queste tendenze sono connesse allo sviluppo di molte attività nel terziario e di professioni prevalentemente a bassa qualifica, in settori come il commercio, alberghi e ristoranti, sanità e servizi alle famiglie, servizi di pulizia e altro. È inoltre cresciuta soprattutto la componente femminile (che ha già superato i livelli di dieci anni fa) ed è diminuito il peso dell’industria e delle costruzioni (complessivamente da quasi il 34% al 29%), settori tradizionalmente caratterizzati da una netta prevalenza maschile. I lavoratori sono inoltre mediamente più “anziani” (anche per via delle dinamiche demografiche illustrate) ma anche più istruiti rispetto a dieci anni fa. Nello specifico si contano 87.500 occupati in meno tra gli under 45 (-26,8%) e 79.800 in più tra gli over 45 (+41,6%). Inoltre, rispetto a dieci anni, fa la quota di lavoratori con una laurea o un titolo di studio superiore è passato dal 15% al 23%, mentre è sostanzialmente stabile la componente dei diplomati (pari a circa la metà degli occupati). Bisogna considerare che la struttura demografica costituisce sempre di più un fattore competitivo, in termini di capacità di sfruttamento delle opportunità produttive e occupazionali legate all’innovazione tecnologica. Una forza lavoro particolarmente “anziana” come quella regionale potrebbe infatti presentare una dotazione di competenze obsoleta rispetto a ciò che le nuove tecnologie richiedono.

La disoccupazione rimane elevata

Il numero di persone in cerca di occupazione in regione nel 2018 si è attestato in media a 36.600 unità, oltre 15.000 in più rispetto a dieci anni fa. Si può comunque ricordare che nell’ultimo biennio la disoccupazione si è parzialmente riassorbita dopo i livelli particolarmente elevati del periodo 2013-2016, quando superava stabilmente le 40.000 unità. Nel 2018 il tasso di disoccupazione complessivo si è attestato al 6,7% (in analogia con l’anno precedente), nel 2008 era pari al 4,3%. Si tratta di un ulteriore elemento che indica che la crisi dal punto di vista dell’occupazione non è stata ancora completamente superata.