Romeo e Giulietta erano friulani?

romeo_e_giulietta_02800x6001Friuli, Marzo 1510, un giovane capitano d’armi e uomo di lettere di origine vicentina, Luigi Da Porto, è alla guida di una condotta di 50 cavalleggeri a Cividale del Friuli, sotto il comando di Antonio Savorgnan, esponente di spicco della scena politica friulana. (tratto dalla relazione di Francesca Tesei) La madre di Luigi è Elisabetta Savorgnan, sorella di Antonio. Antonio è dunque lo zio di Luigi.
La situazione socio-politica del momento è molto turbolenta: è in corso una guerra che dal 1508 contrappone la Serenissima Repubblica di Venezia all’armata dell’Imperatore Asburgico Massimiliano I° d’Austria (La guerra della Lega di Cambrai dura dal 1509 al 1514). Il conflitto determina la spartizione in Friuli fra le due potenze. Nella nostra regione Venezia può contare sull’appoggio dei Savorgnan, i quali in cambio di fedeltà e sostegno politico alla causa veneta, godono di una posizione di preminenza rispetto alle altre famiglie nobiliari, ricevendo cariche militari e di rappresentanza. Questa posizione di privilegio attira su di loro l’implacabile ostilità degli altri nobili castellani friulani, che manifestano, invece, sentimenti filo-imperiali.
Sullo sfondo della guerra la società friulana è sull’orlo dell’anarchia: una miscela esplosiva che assomma e confonde secolari tensioni fra nobili feudatari, contadini e popolo urbano. Imperversano le lotte di fazione fra il partito degli “Zambarlani” da un lato, capeggiato da Antonio Savorgnan, cui aderisce nobiltà recente, popolo minuto e contadini ed apertamente filo-veneziano, e dall’altro il partito degli “Strumieri” o “Torriani”, simpatizzante per l’Impero Asburgico ed ostile ad Antonio Savorgnan. Questo partito è capeggiato da Alvise Della Torre e raccoglie gli esponenti della vecchia aristocrazia castellana del Friuli e delle antiche famiglie nobiliari di Udine. Il sistema collassa nel 1511, quando il 27 Febbraio, giorno del Giovedì Grasso, scoppia a Udine e poi dilaga nel contado una memorabile rivolta popolare accompagnata da una strage sanguinosa, passata alla storia come “zobbia grassa”. Scoppia una terribile epidemia di peste e neanche un mese dopo, il 26 Marzo, un terremoto di devastante violenza si abbatte su Udine, in uno scenario da incubo.
Concentriamoci ora su Luigi Da Porto: la sua assegnazione al comando di Antonio lo collega inevitabilmente al partito di suo zio, gli “Zambarlani”. La strage della “Zobbia grassa” getta luci sinistre sul partito degli Zambarlani e sospetti in particolare sugli affiliati di. Si apre una faida fra Zambarlani e Strumieri, una lunga serie di omicidi per vendetta, che non risparmia neanche il casato Savorgnan, a sua volta diviso da una rivalità intestina che contrappone il ramo dei Savorgnan Del Torre di Zuino, capeggiato dallo zio di Luigi, Antonio, e quello guidato da Girolamo, noto come Del Monte Osoppo. Antonio e Girolamo sono fra loro cugini.
Cominciano i punti di contatto con i ben noti Romeo e Giulietta di Shakespeare, poiché nel dramma anche i Montecchi ed i Capuleti erano divisi da rivalità. La sera del 26 Febbraio 1511 nel palazzo di Maria Savorgnan vedova di Giacomo Savorgnan Del Monte, a Udine, si tiene un ballo in maschera. Al clavicembalo suona per il diletto del pubblico la figlia quindicenne, Lucina. E’ Gregorio Amaseo, cronachista udinese di parte strumiera, che riporta questa notizia. Al ballo partecipa, probabilmente in incognito poichè mascherato, il giovane soldato Luigi Da Porto. In questa occasione Luigi, come Romeo Montecchi, incontra Lucina Savorgnan Del Monte, sua cugina per le convenzioni dell’epoca, e se ne innamora. Lucina, come Giulietta Capuleti, lo ricambia. L’indomani, Giovedì Grasso, divampano i moti sanguinosi della “zobbia grassa”: saccheggi, assassini spietati, caccia all’uomo senza quartiere fra i palazzi dalla città di Udine, quindi i tumulti dilagano nelle campagne ove vengono assaltati e dati alle fiamme diversi castelli. Nei mesi successivi, nonostante l’ostilità delle rispettive famiglie e l’accusa contro Luigi, da cui fu poi scagionato, di aver partecipato alle stragi del “Giovedì Grasso”, Luigi e Lucina si frequentano, ma devono tenere nascosto il loro amore e in segreto si scambiano una promessa di matrimonio, come accadde per gli shakespeariani Romeo e Giulietta.
Il 20 Giugno 1511 in uno scontro con una compagnia di cavalleggeri imperiali fra Gradisca e Cormòns, Luigi è ferito da una punta di lancia al collo, che gli lede il midollo spinale e lo lascerà paralizzato per sempre sul fianco sinistro. In un sol colpo tutto è perduto per lui: salute, carriera militare e, soprattutto, un futuro d’amore con Lucina.
Il 20 Settembre Antonio compie un clamoroso voltafaccia, passando alle fila dell’esercito imperiale. Girolamo Savorgnan Del Monte capeggia ora il casato e deve lavare l’onta di questo tradimento. In seguito alla decisione del Consiglio dei Dieci di Venezia nel 1514 di assegnare a Girolamo i beni confiscati al ribelle Antonio, si apre un conflitto patrimoniale fra i Savorgnan Del Monte e i Savorgnan Del Torre. Venezia propone un accordo matrimoniale e patrimoniale fra i due rami. Scartata l’ipotesi di dare in sposa una delle figlie di Girolamo a Francesco Del Torre, uno dei nipoti di Antonio, la scelta ricade infine su Lucina Savorgnan Del Monte, che nel 1517 stringe un’unione matrimoniale proprio con Francesco Savorgnan Del Torre.
A Venezia, dove risiedeva da quando era rimasto ferito, Luigi Da Porto viene a conoscenza di queste nozze di stato e decide di dedicare a Lucina una novella. Dalla finestra della sua villa di Montorso Vicentino, ferito nel corpo ed ancor più nell’animo, Luigi Da Porto poteva ammirare i castelli di Montecchio Maggiore. Da qui forse lo spunto per il nome dei Montecchi. Era fra l’altro un buon conoscitore di Dante e per la sua trama si ispirò alle famiglie dei Montecchi e Cappelletti del Purgatorio dantesco (Canto VI, vv. 106 e 108), la cui ostilità è rievocata da Luigi perché sia funzionale alla sua finzione narrativa. La novella racconta, infatti, la storia dell’amore contrastato fra Romeo Montecchi e Giulietta Cappelletti, impedito dalla violenta rivalità delle famiglie, e conclusosi drammaticamente con la morte dei protagonisti, per una tragica e fatale concatenazione di fatti. Siamo nel Trecento, a Verona è signore Bartolomeo della Scala. I due giovani si incontrano ad un ballo in maschera in Casa Cappelletti. E’ amore a prima vista. Romeo a rischio della sua vita attende la sua amata Giulietta sotto al balcone per parlarle. I due innamorati decidono di sposarsi in segreto con l’aiuto di un francescano Frate Lorenzo, amico di Romeo e confessore di Giulietta, in attesa del momentopiù propizio per annunciare alle rispettive famiglie la loro unione. Nel frattempo in uno scontro armato lungo le vie di Verona fra esponenti dei Montecchi e dei Cappelletti, Romeo vinto dall’ira per il ferimento di molti dei suoi, uccide Tebaldo Cappelletti. Romeo viene bandito da Verona e con l’aiuto di Fra’ Lorenzo si rifugia a Mantova. L’infelicità in cui all’improvviso sprofonda la giovane inducono i suoi genitori a credere ch’ella desideri maritarsi. Il padre combina le nozze di Giulietta col Conte di Lodrone. Per evitare questo matrimonio Giulietta chiede aiuto al suo confessore per potersi ricongiungere al suo amato. Il Frate le consegna una pozione che la farà cadere come morta per quarant’otto ore, quindi le illustra il piano con il quale la preleverà dalla cappella di famiglia, dove il suo corpo sarà deposto, e la trarrà in salvo sotto mentite spoglie fino a Mantova. Nel frattempo un frate, fidato messaggero, viene inviato a Mantova perché avvisi Romeo circa il piano. Il messaggio non viene però recapitato. Giulietta beve la pozione e tutti la credono morta. La notizia della sua morte raggiunge Romeo che si precipita a Verona e penetra nottetempo nel sepolcro. Alla vista della sua amata decide di avvelenarsi per accompagnarla se non in vita almeno nella morte, ma in quello Giulietta si risveglia dal suo sonno profondo. Troppo tardi. Giulietta e Romeo si abbracciano e disperati comprendono che il loro tragico destino è oramai segnato. Sopraggiunge Frate Lorenzo per trarre in salvo Giulietta, giusto in tempo per veder spirare l’esangue Romeo e poco dopo Giulietta si accascia senza vita, vinta dal dolore. La morte dei due giovani non è vana, porterà alla riappacificazione delle famiglie.
Quando a Luigi Da Porto giunge notizia delle nozze di Lucina con Francesco, egli decide di trasporre in veste letteraria la sua infelice personale vicenda, sublimando nell’arte lo strazio di un amore finito. Ma qual è la prova della matrice autobiografica di questo racconto? Le similitudini fra la vicenda dei due amanti veronesi e quella degli amanti friulani sono tante e non casuali, è la tesi che noi sosteniamo, rilanciando e approfondendo l’autorevole lezione, formulata alcuni anni or sono dal Professor Cecil Clough. I protagonisti, i luoghi e l’epoca di questo amore tragico, ovvero lo scenario della Verona del XIV secolo, devono essere confutati, a favore di una matrice tutta friulana della storia. Per sostenere questa tesi abbiamo dedicato un’attenzione speciale al contesto storico-ambientale ed alla famiglia Savorgnan in particolare, e abbiamo scandagliato i moventi personali che indussero Da Porto a scrivere la novella, nonché le ragioni di opportunità politica e di prudenza per la salvaguardia dell’identità dei protagonisti, che lo motivarono ad ambientarla a Verona e ben due secoli prima. La nostra tesi è rafforzata da un’analisi psicologica dei passi che tradiscono la matrice autobiografica del racconto. Nella stesura della Novella Luigi si ispira al motivo letterario dell’amore contrastato, ricorrente negli autori classici (Ovidio), ma ha presente anche autori a lui più prossimi, quando eccheggia ad esempio parti dell’intreccio narrativo della novella “Mariotto e Giannozza” di Masuccio Salernitano (pseudonimo di Tomaso dei Guardati 1415 – 1476). Tuttavia la scena del ballo in maschera ricorre per la prima volta nella sua “Giulietta”, configurandosi, dunque, come un chiaro elemento autobiografico. Se pensiamo poi all’ubicazione dell’antico Palazzo Savorgnan a Udine, nell’attuale Piazza Venerio, palazzo che andò distrutto già nella prima metà del Cinquecento, tanto che per la presenza delle sue rovine, la piazza stessa prese in antico il nome di “Piazza della Rovina”, ebbene mi sembra che nella Novella di Da Porto non sia casuale nemmeno il riferimento a Frate Lorenzo. Lorenzo è un frate francescano ed è il confessore di Giulietta. Quando Giulietta chiede l’aiuto del religioso si reca proprio nella Chiesa di San Francesco a Udine. Ebbene l’antico Palazzo Savorgnan non si trovava appunto nelle immediate vicinanze dell’attuale Chiesa di San Francesco e dell’annesso convento, ex ospedale vecchio, oggi sede del Tribunale?
Come ha brillantemente dimostrato il Professor Clough, l’analisi stilistica e testuale di una delle copie manoscritte della “Giulietta” di Da Porto, che costituisce la versione più antica a noi finora nota di tale novella, presenta una dedica a Lucina Savorgnan ed in chiusura un’aspra invettiva contro le donne ingrate del suo tempo, che restano fedeli ai loro amanti fintanto che questi sono in grado di soddisfare i loro bisogni e mancano della costanza dimostrata, invece, dall’eroina Giulietta. Nella dedica si allude chiaramente a Lucina, vera destinataria dell’opera, in quanto ispiratrice della storia in essa narrata e legata a Luigi “per lo stretto vincolo di parentado e di dolce amistà, che tra la persona vostra e chi la scrive si trova”. L’invettiva finale si spiega, invece, con il sentimento di disillusione di Luigi. Tanto Lucina quanto il suo amore erano ormai persi per lui. Egli era persuaso che la sua subentrata infermità fisica fosse stata determinante nell’indurre Lucina a non mantenere fede alla loro promessa segreta di matrimonio e a preferirgli un altro. Crudele beffa del destino: il matrimonio tra Lucina Del Monte e Francesco Del Torre sancisce la pacificazione del casato Savorgnan. Eppure anche Luigi, come Francesco, era nipote di Antonio Savorgnan e avrebbe potuto essere lui il prescelto per queste nozze. Nella vicenda reale Lucina e Luigi non si diedero la morte, a morire fu soltanto il loro amore.
La novella di Luigi ebbe una certa fortuna letteraria, la sua trama, in tempi in cui non esisteva il copyright, si ritrova, infatti, sostanzialmente inalterata sia in alcuni rifacimenti di autori italiani del Cinquecento, come nel Bandello (Matteo Bandello 1554), che in successive traduzioni e adattamenti di autori francesi (Pierre Boaistuau 1559) e inglesi (Arthur Brooke 1562, William Painter 1567). Ed ecco che circa settanta anni più tardi, probabilmente tramite una di queste traduzioni e rifacimenti, l’impianto della storia di Da Porto giunge nelle mani del drammaturgo William Shakespeare e gli ispira, tra il 1591 e il 1596, il dramma “Romeo and Juliet”, consacrando sulla scena l’immortalità di quest’amore.
Quando a metà degli anni Ottanta fu annunciata per la prima volta la notizia di un risvolto autobiografico della Novella e dell’origine friulana dei suoi protagonisti, in seguito alla conferenza tenuta dal Professor Clough a Vicenza in occasione dei cinquecento anni dalla nascita di Da Porto, comparvero alcuni articoli sul Messaggero Veneto e sul Gazzettino, ma nessuna voce nel panorama culturale regionale si levò per rivendicare e fare proprio questo primato in modo autorevole. Forse l’origine veneta di Luigi, seppur legato al Friuli per parte di madre, può aver precluso il riconoscimento della sua storia, in quanto non prodotta da un autore autenticamente friulano e non ambientata in un contesto espressamente friulano. Più probabilmente allora i tempi non erano maturi e per questa mancata rivendicazione può aver avuto un ruolo proprio la natura del popolo friulano, sempre piuttosto riservato e restio all’esposizione di sè, soprattutto quando in gioco ci sono i sentimenti.
Il risveglio di interesse che questa vicenda sta avendo ultimamente e non solo nella nostra regione, ci sembra sia il segnale positivo che aspettavamo. Questo libro ha rappresentato per noi un gesto d’amore verso il Friuli. Ci ha sostenuti il desiderio di valorizzare la nostra terra e di portare a conoscenza dei friulani, e non soltanto dei friulani, una pagina di storia che ai più era ignota e la cui esistenza era stata, finora, per lo più confinata agli addetti ai lavori. Esso rappresenta un tentativo, fatto con molta umiltà, ma anche con sincera passione, di compiere un’operazione di recupero della verità storica del mito di Giulietta e Romeo, per affermare con orgoglio che l’impianto narrativo che ispirò il genio di Shakespeare ha una matrice tutta friulana, a partire dai protagonisti, dallo scenario ambientale, storico, politico, sociale e culturale. Abbiamo cercato di fornire al lettore comune un quadro esaustivo della vicenda e l’appuntamento che ci siamo dati qui oggi voleva essere, nelle nostre intenzioni, un’occasione per riflettere sulla primogenitura friulana, a lungo negletta, di questo mito d’amore.
Lascio alla vostra benevolenza giudicare se ci siamo riusciti.

Udine, 24 Novembre 2006

Francesca Tesei

Testo a cura di Francesca Tesei ©
Tratto dalla relazione tenuta da Francesca Tesei al Convegno: “Giulietta e Romeo: l’origine friulana del mito”, Salone del Parlamento – Castello di Udine, 24 Novembre 2006, in occasione della presentazione del libro:
Albino Comelli e Francesca Tesei, Giulietta e Romeo: l’origine friulana del mito, L’Autore Libri, Firenze 2006.

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