CINE20: SPECIALE FAR EAST FILM FESTIVAL 14

cine20

SPECIALE

a cura di Weltall

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Ed un’ altra edizione del Far East Film Festival, la quattordicesima, è passata. In barba alla crisi ed ai tagli di fondi, anche quest’ anno il FEFF ci ha regalato una full immersion nel cinema asiatico.
Anche se dimezzato, il team CINE20 era presente ed abbiamo cercato di vedere più film possibili senza dimenticarci di mangiare, bere, dormire e respirare. Il caso ha voluto però (e per caso intendo le attività fondamentali elencate poco sopra) che ci perdessimo proprio i film vincitori e pertanto, di comune accordo unicamente con nessuno, abbiamo deciso di assegnare NOI i premi ai film che, nel bene o nel male, ci hanno particolarmente colpito.
Eccoli qui di seguito in ordine rigorosamente casuale:

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PREMIO
“SE QUALCUNO NON SPARA NEI PRIMI 5 MINUTI NON E’ UN FILM DI DANTE LAM”

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THE VIRAL FACTOR di Dante Lam

Perchè da uno come Lam sai sempre cosa aspettarti quindi, se ti piace, ti fiondi in sala, in caso contrario lo eviti. Nei suoi film ci si insegue, ci si spara, si fa esplodere praticamente tutto e alla fine non rimane un solo vetro integro. Succede poi che per un film come The Viral Factor lo riempono pure di soldi e a lui viene la Sindrome di Zack Snyder ma, a parte i ralenty, gli bastano cinque minuti per mettere a ferro e fuoco la Giordania. Ha i suoi difetti, come tutti i film di Lam, ma chi se ne frega se ti diverti come un bambino.

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PREMIO
“LO HA GIA’ FATTO MIIKE E PURE MEGLIO”

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HARD ROMANTICKER di Gu Su-yeon

Perchè per quanto sia tratto da un libro parzialmente autobiografico dello stesso regista, non si va mai oltre la superficie, non si esplora mai il lato oscuro di una piccola città di provincia e le difficoltà di essere un giapponese di origine coreana in un Paese ancora profondamente razzista. Una mancanza molto grave secondo me che lascia Hard Romanticker in balia del suo protagonista, che picchia tutti, poi scappa dalla sua città per poi tornare ed essere picchiato. Violento e vuoto allo stesso tempo.

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PREMIO
“AWWWWWWW”

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RENT-A-CAT di Ogigami Naoko

Perchè è forse il film più furbo della selezione con tutti quei gattini che fanno fare “Awwwwwwwwwwwwww” al pubblico e pure io ho fatto “Awwwwwwwwwwwww” perchè i gatti mi piacciono un casino. Però devo dire che, a parte questo, la sue atmosfere da favola, questa protagonista che in modo totalmente altruistico mette a disposizione le sue bestiole per curare i mali del cuore di persone sole senza curarsi dei propri, bé a me ha proprio conquistato. Ah si, anche i titoli di coda fanno fare “Awwwwwwwwwwwww”.

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PREMIO
“RITENTA, SARAI PIU’ FORTUNATO”

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THE BOUNTY di Fung Chin-chiang

Perchè tra gli esordi presenti a questo FEFF, quello di Fung Chin-chiang è stato decisamente il più deludente, nonostante Chapman To salvi a più riprese baracca e burattini. Un film che si confronta con il genio di Michael Hui e ne finisce schiacciato sotto il suo peso, non riuscendo il giovane regista a dare al film nessuna direzione precisa nonostante i vari cambi di registro. Dopo la sequenza iniziale, con l’ inseguimento sopra la valigia dotata di ruote estraibili, ci si aspettava decisamente di meglio e invece nada.

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PREMIO
“VOLGARE E’ BELLO”

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VULGARIA di Pang Ho-cheung

Perchè un premio quest’ uomo se lo merita, santo cielo. Viene al FEFF con tre film (uno, Love in a Puff, non ufficialmente in concorso) e nonostante dia continuamente prova di grandissima versatilità e di grande adattabilità con qualsiasi genere si confronti, alle volte arrivando pure a contaminarli, non porta a casa nulla. Non mi sembra mica giusto. Comunqeu, in questo caso, questa sua esplorazione “volgare” del fare cinema, dei suoi meccanismi, visto attraverso gli occhi di un produttore (interpretato da Chapman To) conquista e diverte per la sua intelligenza.

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PREMIO
“GLI AVANZI DELLA DOMENICA”

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ROMANCING IN THIN AIR di Johnnie To

Perchè i suoi film migliori arrivano direttamente nei Festival più importanti. Ma la presenza di Johnnie To a questo FEFF, in questo anno così difficile, è importante, importantissima in quanto rappresenta un gesto di stima e di amicizia verso la manifestazione che arriva dal regista più importante di Hong Kong. Ciò non toglie però che il film sia davvero poca cosa, una storia d’amore tra commedia e dramma nel quale la mano del Maestro si sente poco e ci dispiace.

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PREMIO
“WE ALL LOVE LILIA CUNTAPAY”

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SIX DEGREES OF SEPARATION FROM LILIA CUNTAPAY
di Antoinette H. Jadaone

Perchè è difficile non innamorarsi di questa donna di settantasei anni, della sua energia, della sua sincera emozione nel ricevere il lunghissimo applauso al termine del film che la vede assoluta protagonista e che ti fa porre delle domande su quanto ci sia di vero e quanto di fiction nel mockumentary a lei dedicato. Per chi non lo sapesse (come il sottoscritto fino ad un paio di giorni fa), Lilia Cuntapay è uno dei volti più noti del cinema horror filippino, una vera icona del genere di cui questo film fa un ritratto divertente e commovente allo stesso tempo.

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PREMIO
“DIVERSO E’ BELLO”

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IT GETS BETTER di Tanwarin Sukkhapisit

Perchè ridendo in faccia all’ assurda ricerca di dare alla “normalità” un qualsiasi significato, la regista Tanwarin Sukkhapisit racconta, attraverso tre storie separate che si andranno puoi a riallacciare sul finale del film, la ricerca e l’ accettazione della propria sessualità con tutte le conseguenze che ne scaturiscono. Scritto davvero bene e montato in maniera tale che nessuna delle tre storie prevarichi sulle altre, ma in modo che tutte si susseguano con un grande senso del ritmo. Finalmente un bel film tailandese senza nessuno che si prenda a ginocchiate sui denti.

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PREMIO
“ACQUOLINA IN BOCCA”

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SUKIYAKI di Tetsu Maeda

Perchè la maniera in cui i detenuti raccontano a parole il loro pasto migliore ed il regista lo racconta per immagini, ti fa venire una fame che ti mangeresti il bracciolo della poltroncina. Ogni piatto ci dice un po’ dei personaggi, le loro origini, il loro background ma anche come il cibo li leghi ad un desiderio di riscatto e libertà, nonostante non si tratti di un film dove il tema carcerario venga trattato troppo seriamente. Il che, nel caso specifico, non è propriamente un male.

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PREMIO
“SATIRA E SCOREGGE”

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KENTUT di Aria Kusumadewa

Perchè il suo precedente Identitas, visto sempre a Udine due anni or sono, ci è piaciuto e non poco. Anche se questo Kentut non è agli stessi livelli, la mano dell’ autore si vede eccome (i piani sequenza nell’ ospedale) così come il suo impegno nel trattare certe tematiche nonostante l’ assurdità dalla storia: mentre un peto tiene in bilico la vita di una candidata alle elezioni politiche ferita in un attentato, intorno al suo capezzale si radunano sostenitori, avversari e santoni. Satira a tutto tondo che raggiunge tanto la politica quanto la religione.

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PREMIO
“FIGURA PATERNA”

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PUNCH di Lee-Han
THE WOODSMAN AND THE RAIN di Shuichi Okita

Perchè un pari merito è forse la cosa migliore per questi due film che condividono un chiaro focalizzarsi sul rapporto tra due personaggi, uno più giovane ed uno più anziano.
Nel primo c’è un giovane studente problematico di bassa estrazione sociale ed il suo professore (nonchè vicino di casa) dai metodi didattici inusuali ma ugualmente efficaci nel tirare fuori il meglio dai suoi studenti. Tra i due si instaura un rapporto all’ apparenza conflittuale ma molto profondo che diventa, a giochi fatti, l’ anima del film e la sua carta vincente.
Il secondo invece vede protagonisti un taglialegna, vedovo e con un difficile rapporto con il figlio, ed un giovane regista al suo primo lavoro. Per una serie di coincidenze il primo inizia a collaborare con il secondo nella realizzazione del suo film e anche se il legame tra i due fatica a decollare, entrambi usciranno cresciuti ed arricchiti da questa imprevedibile amicizia: uno riuscirà a comprendere di più il suo ruolo di genitore mentre l’ altro troverà in una inaspettata figura paterna il coraggio di realizzare il proprio sogno.
Due modi di affrontare una medesima tematica molto diversi che rispecchiano però le due cinematografie da cui provengono.

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PREMIO
“QUEL BRUTTO POSTO CHE CHIAMIAMO CASA”

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SONGLAP di Effendee Mazlan
THE COCKFIGHTERS di Jin Rui

Perchè anche in questo caso mi è sembrato necessario assegnare un premio a pari merito a due film che raccontano delle realtà difficili dalle quali siamo costretti a subire senza poter fare nulla.
Nel primo il regista malese racconta di due fratelli che sopravvivono in una soffocante Kuala Lumpur trafficando in neonati. Sarà il desiderio di redenzione del più giovane dei due a dare inizio ad una serie di eventi tragici e violenti.
Nel secondo invece un combattimento tra galli mette nei guai un povero allevatore che si attira addosso le attenzioni di un ricco e viziato adolescente, la cui famiglia ha influenze in tutto il piccolo paese perfino nella polizia. Cosa può fare allora un uomo qualunque per difendere se stesso e la sua famiglia quando nessuno è disposto a schierarsi dalla sua parte?
Anche se portano alla nostra attenzione storie e affrontano tematiche differenti, i due film hanno in comune una soffocante sensazione di impotenza ed in entrambi i casi i registi non nascondono la violenza che devono subire i più deboli ma la mostrano fin troppo apertamente.

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PREMIO
“AFRO IS MORE THAN A STATE OF MIND”

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AFRO TANAKA di Matsui Daigo

Perchè è probabilmente il film più divertente presente nella selezione del FEFF di quest’ anno, intriso di una comicità irresistibile tipicamente giapponese che, insieme al suo protagonista dalla capigliatura afro (assolutamente il personaggio cult del Festival), sembra uscire direttamente dai manga. Ed in effetti Afro Tanaka è la trasposizione di un manga ma il merito del giovane esordiente Matsui Daigo sta nell’ essere riuscito a portare su schermo situazioni e meccaniche tipiche dei fumetti comici giapponesi. Impossibile non affezionarsi a questo eccentrico quanto sfigato personaggio.
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