CONFESSION: sabato 25 Aprile ore 22.00 al Far East Film Festival

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Non c’è nulla, nella sinossi di Confession, opera prima di Lee Do-yun, che faccia a pensare che il film sia qualcosa di eccezionale. La storia ruota attorno a tre amici d’infanzia che rimangono vicini anche quando stanno diventando adulti, malgrado abbiano tutti scelto strade diverse. Hyun-tae (Ji Sung) è il più solido dei tre: fa il paramedico, ha moglie e un figlio e il suo equilibrio morale non vacilla mai. Min-soo (Lee Gwang-su) ha messo a soqquadro la propria vita e fa molto affidamento sul sostegno dei suoi amici. Invece In-chul (Joo Ji-hoon), dei tre è quello con la personalità più aggressiva; fa l’assicuratore, ha una mente calcolatrice, ed è sempre pronto a rischiare.

Così non risulta affatto sorprendente che quando la madre di Hyun-tae, che gestisce una piccola sala giochi, escogita un piano illegale per riscuotere del denaro dalla compagnia di assicurazioni, si rivolga a In-chul invece che a Min-soo o al proprio figlio. Un incendio doloso al momento giusto, con tanto di prove inscenate davanti alle telecamere a circuito chiuso, le permetterà di incassare il denaro e di andare in pensione, oltre che aiutare i migliori amici del figlio. Naturalmente, non è così che le cose funzionano, e l’incendio simulato segna per i tre sfortunati amici l’inizio di una feroce spirale discendente.

Ritengo sia onesto dire che gran parte della critica nutriva ben poche speranze nei confronti di questo film prima della sua uscita. Di questi tempi, sono talmente tanti i film coreani di genere a far uso costante degli stessi schemi che è difficile entusiasmarsi quando un regista esordiente presenta un film con una storia già sentita. E invece Confession ha fatto molto colpo, perché è un film pieno di suspense, avvincente e memorabile in grado di ravvivare anche le scene e le situazioni più didascaliche. Questo in parte è dovuta a pura e semplice abilità tecnica: il regista Lee Do-yun e i suoi collaboratori sanno bene come sfruttare il montaggio per creare tensione e come usare l’illuminazione e la macchina da presa per produrre ambientazioni evocative che integrano le emozioni suscitate dalla storia. Servono grandi capacità per tirar fuori la massima quantità di emozioni da ogni scena, e queste nel film sono evidenti. Per essere un’opera prima, Confession è stato costruito in modo straordinario.

Ma a parte ciò, quello in cui il film davvero eccelle è il ritratto dei rapporti umani. Il regista Lee riesce a ottenere dai tre giovani protagonisti interpretazioni forti e piene di sfumature, ed è in grado di catturare alla perfezione il modificarsi delle dinamiche tra i tre amici come risultato di incomprensioni, senso di colpa o mancanza di fiducia. Non è tanto la struttura della storia a renderlo possibile quanto per la capace gestione dei dettagli: con economia gestuale e dialoghi apparentemente semplici, Lee esprime la profondità e la complessità della loro amicizia.

C’è anche una dolorosa ironia nella tragedia al centro del film. Avidità, ambizione, insensibilità, sono parimenti responsabili ma alla fine ciò che manda completamente in crisi l’amicizia è un evento del tutto imprevisto e accidentale. Ancor più del rischio di essere catturati dalla polizia o delle conseguenze potenziali dell’incendio inscenato, quello che rende la storia così intensa è il tradimento personale, involontario ma profondo, rappresentato dal crimine.

Confession non ha fatto furori al botteghino, ma ha dimostrato lo straordinario talento del regista Lee Do-yun. I registi esordienti devono affrontare una battaglia tutta in salita all’interno dell’industria cinematografica coreana, soprattutto perché non viene loro concessa la libertà creativa per realizzare film altamente individuali che possano esprimere una loro personale visione o stile. Mi auguro però che per il suo secondo film a Lee vengano concesse maggiori opportunità di realizzare un film altamente personale, perché ho la sensazione che il suo talento possa portarlo lontano.

Darcy Paquet