Far East Film 19: 83 titoli, 4 prime mondiali. A Udine 21 aprile – 29 aprile

Far East Film Festival 16
Chi ha spento la luce? Non l’ha spenta nessuno e non è saltato il salvavita. No, non si tratta neppure di un guasto momentaneo: l’elettricità ha proprio smesso di esistere. Così. Di colpo. E la famiglia Suzuki, adesso, deve imparare molto in fretta l’arte della sopravvivenza: affrontare un black out planetario non è esattamente un gioco da ragazzi! Si apre qui, in un mondo improvvisamente interrotto, l’irresistibile road movie giapponese Survival Family, e si apre qui anche l’attesissimo Far East Film Festival 19: non solo perché la bella commedia di Yaguchi Shinobu farà da starting gun, venerdì 21 aprile, ma anche per una ragione di simmetria: proprio come il black out di Survival Family, infatti, il FEFF rappresenta un’improvvisa interruzione. La normalità quotidiana si blocca, così, di colpo, e il buio (in sala) del Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” inghiotte per 9 giorni tutto e tutti.

Mai come quest’anno, tra l’altro, il Festival ha messo a fuoco un’interruzione tanto perentoria: un programma vasto, vastissimo, un enorme black out che conta 83 titoli (selezionati su circa un migliaio di visioni) e include 4 anteprime mondiali, tra cui l’adrenalinico Shock Wave di Herman Yau che chiuderà ufficialmente il #FEFF19 (sabato 29 aprile), 12 anteprime internazionali, 10 International Festival Premiere, 25 anteprime europee, 1 European Festival Premiere e 22 anteprime italiane, testimoniando l’incredibile vitalità (produttiva e creativa) del cinema asiatico!
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12 i pianeti esplorati (Cambogia, Cina, Corea del Sud, Filippine, Giappone, Hong Kong, Indonesia, Malesia, Taiwan, Thailandia, Vietnam e, per la prima volta in assoluto, il Laos), più o meno incalcolabile il numero delle singole sfumature artistiche. Forse, il connotato che meglio può giocare da fil rouge tra tutti i paesi, tra tutte le declinazioni dell’arte cinematografica, è la solidità dei film stessi: ottima scrittura, ottima regia, ottima scelta del cast e della crew. Opere sempre nuove. Nuove e capaci di raccontare un’identità (sociale, geografica, culturale, politica), di rivendicare fieramente un’appartenenza (Cina, Corea del Sud e Hong Kong su tutti), di fabbricare storie, di creare stupore.

Aspettati l’inaspettato, del resto, non è solo il titolo di un vecchio (meraviglioso) poliziesco di Johnnie To e Patrick Yau: è la formula chimica, breve e perfetta, che racchiude l’essenza di tutto il cinema orientale. Davvero tutto. Ci sono luoghi in cui ogni cosa può accadere, li troviamo dentro alle favole o dentro ai sogni, e il cinema orientale è senza dubbio uno di questi. Lo sanno bene gli appassionati, lo sa bene il FEFF. Quasi vent’anni di visioni estreme, anarchiche, spiazzanti: è proprio una questione di anima, è proprio un’inclinazione naturale per l’inaspettato, e anche quest’anno lo sguardo degli spettatori ne potrà ammirare tantissimo. A cominciare, ovviamente, da quello di una certa ex colonia britannica…

Hong Kong, per il FEFF, non è solo un’inesauribile fonte di meraviglie cinematografiche: è il detonatore stesso della sua nascita. La prima scintilla. Il “C’era una volta…” da cui, nel 1998, ha preso vita tutta la storia. S’intitolava semplicemente Hong Kong Film, quello che oggi possiamo considerare il numero zero del Far East, e sarà uno dei titoli presentati allora, un titolo poi diventato oggetto di culto, il simbolo della grande retrospettiva in programma quest’anno: stiamo parlando del leggendario Made in Hong Kong di Fruit Chan, carissimo amico del Festival, che (ri)vedremo a Udine in anteprima internazionale nel magnifico restauro prodotto dal FEFF! Un capolavoro assoluto del cinema indipendente, ormai invisibile e introvabile: sia su pellicola, sia su qualunque altro supporto.

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Grande retrospettiva, dicevamo, e Creative Visions: Hong Kong cinema 1997-2017 (supportata dal Governo di Hong Kong, realizzata con Create Hong Kong e l’Hong Kong Economic and Trade Office di Bruxelles, discussa con l’Hong Kong International Film Festival Society) grande lo è davvero: a 20 anni di distanza dall’handover che ha riconsegnato Hong Kong alla Cina, il Far East Film Festival 19 mostrerà 10 film che restituiscono pienamente il fervore di una città e di una comunità. Dal memorabile The Mission di Johnnie To all’altrettanto memorabile Infernal Affairs di Alan Mak e Andrew Lau, tanto caro a Scorsese, la selezione di Creative Visions emozionerà i veterani e riempirà di cinema gli occhi dei nuovi arrivi.
Nuovi arrivi e veterani, oltre a ritrovare o – finalmente! – scoprire l’ormai celebre atmosfera informale del FEFF (nelle asian zone del Teatro Nuovo, roccaforte storica del Festival, e nel cuore della città, punteggiato ancora una volta dai 100 appuntamenti di Far East Events), incroceranno sicuramente attori, attrici, registi, “addetti ai lavori” di tutti i tipi e, chissà, magari i 10 giovani talenti del FEFF Campus, la scuola di giornalismo guidata da Mathew Scott, i produttori del workshop internazionale Ties That Bind (nona sessione italiana) o i key-player che raggiungeranno Udine da tutto il mondo per la seconda edizione di FOCUS ASIA.

Se lo scorso anno il FEFF aveva sperimentato la prima esperienza Industry, mettendo a disposizione dei buyer asiatici ed europei la possibilità di confrontarsi sulle produzioni cinematografiche di genere (cioè sui “prodotti finiti”), quest’anno passerà infatti alla fase successiva: FOCUS ASIA diventa uno spazio operativo dove realizzare il cinema del futuro! Sono 13 i progetti cinematografici di genere (targati Spagna, Indonesia, Giappone, Francia, Taiwan, Italia, Brasile, Laos, Singapore, Finlandia, Serbia e Lituania) che verranno presentati durante la seconda edizione di FOCUS ASIA. Il Teatro Nuovo ospiterà gli incontri (nella Sala Fantoni e nel lounge del quarto piano, dedicato ai meeting one-to-one e alle tavole rotonde con i decision maker) e il Visionario ospiterà, invece, le market screening.

“Festa del cinema”, prima ancora che “Festival” nell’accezione tecnica più convenzionale, il FEFF si è trasformato nel corso del tempo in una vera e propria “Isola del cinema”: un posto dove i film vengono mostrati, commentati, respirati, ideati e, appunto, anche realizzati. Film popolari, film fortemente riconoscibili e catalogabili (per genere e provenienza), film che permettono, ormai, agli organizzatori di strutturare il programma come una piattaforma on demand e agli spettatori di operare scelte ben precise. Cerchi un musical taiwanese? Ecco 52Hz, I Love You di Wei Te-sheng. Cerchi una transgender comedy filippina? Ecco Die Beautiful di Jun Robles Lana (verrà presentato sotto il segno del FVG Pride). Cerchi uno splatterone hongkonghese? Ecco The Sleep Curse di Herman Yau.

Cresciuto e maturato assieme al FEFF, edizione dopo edizione, il pubblico (anzi: la tribù dei fareastiani) sa benissimo cosa chiedere allo showbiz asiatico, e i “nuovi arrivi”, come li abbiamo definiti qualche riga fa, stanno invece per scoprirlo: tutto ciò che serve, per muovere i primi passi, è amare il cinema, lasciando fuori dalla porta i pregiudizi e la pigrizia. Al resto, provvederà il secondo film dell’Opening Night, cioè il super action cambogiano Jailbreak di Jimmy Henderson (regista italianissimo, a dispetto del nome e del “trasloco orientale”). Al resto, provvederanno tutti gli altri titoli del ricchissimo programma. Al resto, provvederanno la coppia più bella del cinema giapponese, Takumi Saitoh e Aya Ueto, e i due giganteschi Gelsi d’Oro alla carriera di quest’anno: lo “Spielberg cinese” Feng Xiaogang e il super divo Eric Tsang!

Ora manca davvero poco, al grande black out che dal 21 al 29 aprile inghiottirà tutto e tutti, ma state tranquilli: ogni singolo film produrrà il giusto quantitativo di energia per sopravvivere. Perché il cinema è cultura è la cultura, soprattutto oggi, è uno dei pochissimi antidoti al buio. Quindi… buio in sala! Senza paura.