L’acqua non si vende

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“L’acqua è un bene che non ammette speculazioni a danno dei cittadini. Sono orgoglioso di essere italiano per la fermezza dei giudici che hanno riconosciuto la fondatezza delle richieste della campagna referendaria sull’acqua. A questo punto il Governo dovrebbe, come più volte io ho richiesto al ministro, la moratoria del decreto Ronchi”. Commenta così il sindaco di Udine Furio Honsell la decisione della Corte Costituzionale che ha riconosciuto ammissibili due quesiti dei tre proposti dalla campagna referendaria “L’acqua non si vende”. Una campagna popolare che in Friuli Venezia Giulia ha avuto grande successo. In poco più di un mese dal suo avvio, lo scorso 25 aprile, il Comitato Promotore del referendum Fvg, che ha raccolto diverse associazioni sparse sul territorio, aveva già raggiunto l’obiettivo finale della raccolta in regione, con ben 15 mila firme. La campagna è comunque proseguita fino al 6 luglio, con la raccolta di oltre 20 mila firme in tutto il Friuli Venezia Giulia.

Honsell, primo firmatario della campagna in Friuli Venezia Giulia popolare, plaude dunque alla decisione della Consulta. “È una grande vittoria per i cittadini e in particolare è una giornata di grande soddisfazione per il Friuli Venezia Giulia – ha detto il sindaco di Udine – una regione che, grazie all’impegno tempestivo del Comitato promotore, era stata molto pronta a reagire e raggiungere grandi risultati in poco tempo”. La Consulta ha ammesso sia il quesito che chiede l’abrogazione delle norme introdotte con il decreto Ronchi-Fitto (legge n. 166 del 20 novembre 2009) sulle modalità di affidamento con gara a privati dei servizi pubblici di rilevanza economica sia quello che chiede la cancellazione della norme introdotta del governo Berlusconi con il comma 1, dell’art. 154 del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 (il cosiddetto Codice dell’ambiente), che prevede che le tariffe del servizio idrico integrato vengano modellate tenendo in conto ”l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito” dai soggetti misti pubblico-privati. Respinto, invece, il quesito numero 2 che voleva abrogare la possibilità di forme miste di gestione e di procedure di affidamento pubblico-private, con la soppressione delle norme introdotte con il decreto legislativo n.4 del 16 gennaio 2008.

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