Carnevale 2012 a Pulfero – 18/21 febbraio

Carnevale Pulfero (UD) 07Pulfero 17 gennaio 2012 – Arcaico e misterioso. Unico. Con un fascino senza tempo. Che non si è lasciato contaminare dalla modernità. È il Carnevale nelle Valli del Natisone, un paradiso intatto del Friuli Venezia Giulia, in provincia di Udine, al confine con la Slovenia. Una terra dove le tradizioni si sono mantenute originali e vere, tramandate da padre in figlio, da madre in figlia.

È in questo angolo verde e ricco di storia, puntellato da paesini-presepe, che in febbraio si festeggiano alla vecchia maniera, nel comune di Pulfero, gli unici giorni dell’anno in cui “è lecito insanire”. Un evento, quello del “Pust v Baneciji” (in dialetto “Carnevale nelle Valli del Natisone”), che unisce la gioia e il divertimento proprio del mascherarsi e fare dispetti, alla riproposizione di usanze e riti antichissimi, peculiari.

Partecipare al “Pust” significa vivere in prima persona il folclore più vero delle Valli del Natisone, respirare la forza delle sue tradizioni, scoprire un mondo antico e incantato ma, al contempo, incredibilmente vitale e attuale, fatto di vecchi e di giovani, uniti in un rito di passaggio dai caratteri indecifrabili. E anche per questo estremamente attraenti.

Animato da figure animalesche e antropomorfe, da angeli e diavoli, galli e galline, fiori e campanacci, il “Pust” di Pulfero pullula di una moltitudine di presenze misteriose, ora benevole, ora malevoli. Simboleggiando l’eterno alternarsi del bene e del male, della cattiva e della buona stagione promessa dalla primavera in arrivo.

La festa è transfrontaliera, aspetto che la rende ancora più speciale: oltre a dieci gruppi del Friuli, infatti, partecipano sette associazioni e sodalizi provenienti dalla vicina Slovenia, anche questi rigorosamente tradizionali. Tra loro le maschere di Cerkno, le più belle dell’entroterra goriziano. Hanno volti in legno, intagliati e colorati. Sono vestite di muschio, con una fronda d’abete in mano. Vestono foglie d’edera e pellicce. Animose, ingaggiano battaglia e duelli con mazze da boscaiolo, forche da fieno e pale. Lottano ritualmente in una danza propiziatoria per ingrossare le rape.

“Queste maschere – spiega il sindaco di Pulfero, Piergiorgio Domenis – rappresentano, oggi come ieri, la memoria popolare e l’ingegno creativo delle nostre genti. Queste forme di espressione vanno considerate, a pieno titolo, parte dell’insieme delle tradizioni che contraddistinguono le peculiarità proprie della comunità locale. Raccontano, nel tempo contemporaneo, la storia e la cultura del territorio”.

Programma

12 febbraio
Il Pust valligiano ha il suo cuore nella grande sfilata che si terrà nel pomeriggio del 12 febbraio: alle 14 le maschere si radunano in località Brischis (Pulfero) e sfilano proponendo tutti i loro scherzi e abiti coloratissimi. Raggiungono poi uno spazio coperto dove la musica non cesserà d’esser suonata dalle 17 e fino a tarda serata.

18 e il 21 febbraio
Serate mascherate con musica dal vivo dalle 21 nel tendone riscaldato a Brischis di Pulfero (UD).

19 febbraio
Prendono vita i “pustje”, ovvero i carnevali tipici nelle frazioni di provenienza dei gruppi del comune di Pulfero: si può vivere questi singolari e coinvolgenti momenti di festa nelle frazioni di Mersino e Montefosca (sabato 18 nel borgo di Rodda).
Spazio dedicato ai più piccoli alle 16 del a Brischis di Pulfero con animazione dedicata a bimbi e bimbe.

21 febbraio
Concorso e premiazione del gruppo più bello e per la maschera singola più bella.

Cucina tipica
In collaborazione e con il supporto con la Camera di commercio di Udine, in occasione delle giornate del Carnevale tipico “Pust” i locali del comune di Pulfero cucineranno piatti tipici della tradizione locale, curiosa, peculiare e unica. I ristoranti sono l’albergo e ristorante “Al Vescovo”, nel capoluogo, l’albergo e ristorante “Alla Trota” in località Specognis, la trattoria “Scaccomatto” in località Cicigolis, la trattoria-osteria “Ai buoni amici” in località Tarcetta, e la “Gastaldia d’Antro” in località San Giovanni d’Antro.
Tra le pietanze tradizionali, che vengono cucinate anche a livello domestico, c’è la “sasieka”; i suoi ingredienti sono il grasso dell’intestino di maiale mista a carne sempre suina unita a pomodori, uova, formaggio e sapori. Tra i dolci da assaggiare assolutamente gli “stucchi lessi”: un impasto di noci, uvette, mele e cannella che riprende la ricetta del dolce per eccellenza delle Valli del Natisone, la “gubana” (per i più golosi da mangiare con slivowitz, la grappa di prugne). Info sui locali nel sito www.invitoapranzo.it.

I gruppi

Partecipano quest’anno i gruppi di Rodda, Mersino e Montefosca (Pulfero); Matajur di Savogna; Azzida e Ponteacco (San Pietro al Natisone); Canebola di Faedis; Clodig di Grimacco; Stregna; Masarolis di Torreano; Prossenicco di Taipana. A loro si aggiungono sette gruppi della vicina Slovenia, dall’area del Goriziano d’oltre confine, al territorio di Kobarid (Caporetto) fino a Tolmino e Cerkno. Più di 200 i figuranti.

Tra i più singolari gruppi carnevaleschi ci sono i Blumarji di Montefosca, da una parola austriaca, “blumen”, che significa fiore, a simboleggiare l’arrivo della primavera da sotto la coltre della neve. I Blumarji, infatti, sono vestiti completamente di bianco a rappresentare il manto invernale; sulla testa hanno un alto copricapo di paglia, il klabuk, finemente intrecciato a mano, a forma di albero stilizzato; dai rami pendono ciuffi di nastri colorati come fossero fiori. In mano un bastone, il pistok, e sulla schiena risuonano i campanacci, gli zuoni, legati con un particolare e singolare intreccio di corda. Ai piedi, sopra i calzettoni di lana grezza, fatti a mano, i neri zekì, calzature tipiche del luogo. Il corteo dei Blumarji è composto da giovani ragazzi del paese che corrono lungo un itinerario circolare particolarmente suggestivo, da sempre lo stesso, che racchiude le frazioni di Montefosca e Paceida. Il gruppo, in numero sempre dispari, compie lo stesso percorso tante volte quante sono le maschere che lo compongono; di tanto in tanto i ragazzi si arrestano ma solo per disporsi in cerchio, con uno di loro al centro, saltellando poi tutti insieme come in una antica danza rituale.

Altrettanto suggestivo il Pust di Rodda. La figura centrale del Carnevale corre e salta continuamente precedendo il corteo mascherato per le strade del paese; annuncia così, col suono dei suoi campanacci legati in vita con una corda, l’allegria delle maschere. Indossa un costume a strisce e nastri multicolori che porta anche sul suo alto copricapo a forma di corno. Tra le mani stringe le kliasce, tenaglie di legno estensibili, con le quali provoca disordine, caos, paura. Il piccolo strumento è ingannevole: scattando e allungandosi all’improvviso afferrare le gambe delle belle donzelle. Al seguito, a creare ancor più scompiglio, il diavolo, zluodij: tutto nero, la maschera lignea con due grandi corna, la temibile forca e una robusta catena con la quale l’arcangelo Michele tenta di tenerlo a bada. Il “buono” è l’agnulaz: ha le sembianze di un angioletto, vestito con una lunga tunica bianca, con sulle spalle una coppia di ali da cui spuntano l’aureola e i riccioli biondi.

Il Pustje di Masarolis, che arriva dal vicino comune di Torreano, prevede invece figure fisse che si muovono secondo uno scenario tradizionale, il “Te Crisnast”, ovvero quello della Croce, che prende il nome dalla forma del suo copricapo; rappresenta il bene, la primavera e la rinascita; veste in bianco, con pantaloni e tunica e sulle spalle porta una pelle di pecora senza dimenticare due file di campanacci sulla schiena. Il copricapo è alto un metro ed è ricoperto da una cascata di striscioline multicolori a indicare il carattere fiorito della primavera. È armato di bastone per cacciare “Te Cosnast”, cioè “quello della pelle”. Quest’ultima maschera rappresenta il male, l’inverno e la morte: vestiti scuri, pelliccia nera e parecchi campanacci sulla schiena. La sua calza è piena di cenere con cui intimorisce la gente. Li accompagnano le Minke, maschere femminili con la scopa in mano, per pulire e purificare il percorso prima del passaggio ei due protagonisti. Ballano, combinano guai e fanno scherzi. Il loro viso è orripilante. Al contrario, la “Ta Lepi”, sono maschere femminili che hanno il compito di portare il cesto e raccogliere doni durante il passaggio di casa in casa. Le loro gonne sono belle, lunghe e colorate; indossano uno scialle ricamato e un fazzoletto o un cappello in testa, per nascondere la capigliatura.

Dal vicino comune di Faedis, arrivano poi le maschere di Canebola, caratterizzate da una donna brutta e vecchia, la “Curla”, e un uomo dalle stesse fattezze, il “Gobbo”, dalla curva della sua schiena. Vestono abiti vecchi. La gobba viene realizzata col fieno; la “Curla” porta sulla schiena dei campanacci fissati con una particolare imbracatura molto simile a una gerla.

Letteralmente uniche le maschere di Clodig di Grimacco, realizzate artigianalmente in vimine. Apre un figurante col cartello del gruppo; seguono il suonatore di fisarmonica, l’uomo con il cassone di legno sulle spalle (a rappresentare gli antichi venditori ambulanti), l’emigrante con il suo armadio, le maschere belle (tra cui gli sposi elegantemente vestiti) e una coppia di vecchietti che raccolgono nel loro cesto di vimine i prodotti della gastronomia locale che vengono loro offerti. Maschere uniche, frutto dell’ingegno e dell’abilità di Mario Ruttar, che a Grimacco ha raccolto nel suo museo privato migliaia di testimonianze sulla vita valligiana.

Da Montemaggiore di Savogna i “Te Gardi”, cioè i brutti, e i “Te Liepi”, cioè i belli. Assieme a loro c’è il “Berac”, che raccoglie i doni, il diavolo con l’angelo, la donna che porta il marito nella gerla, figura del tutto peculiare quest’ultima, chiamata in dialetto “baba, ki nose moza tu kosi”. Chiudono il suonatore e altre figure tradizionali.

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