CETA, UN GRAVE ATTACCO AL "MADE IN ITALY"

Il nostro presidente nazionale, Roberto Moncalvo, l’ha definito «un grande regalo alle lobby industriali che nell’alimentare puntano all’omologazione e al livellamento verso il basso della qualità». Parole che sottoscriviamo, aggiungendo la preoccupazione anche della Coldiretti del Friuli Venezia Giulia per l’approvazione in Europarlamento lo scorso 15 febbraio, con voti purtroppo anche italiani, del Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement), accordo di libero scambio Ue-Canada.
La questione, sia chiaro, è ancora aperta. l’entrata in vigore è al momento solo provvisoria, necessitando infatti della ratifica dei singoli Parlamenti nazionali, ai sensi di quanto stabilito dal Trattato di Lisbona. La mancata approvazione anche di uno solo di questi, potrebbe bloccare definitivamente la partnership tra i 27 Stati membri e il Canada.
di sovranità degli Stati, anche giudiziaria: analogamente a quanto previsto dal Ttip, le aziende canadesi potranno citare davanti a tribunali arbitrali indipendenti gli Stati o le regioni Ue in caso di ostacolo al commercio nei confronti degli esportatori canadesi. Per fare un esempio concreto: pure una norma sull’etichettatura d’origine potrebbe essere sottoposta a giudizio di fronte alla Corte, con evidente prevalenza dell’interesse delle multinazionali rispetto a quello dei cittadini in merito alla tutela della salute (Oltreoceano le maglie sono molto più larghe, contrariamente a quanto accade da noi, dove la commercializzazione è consentita solo dopo aver fugato ogni dubbio sulla potenziale pericolosità della merce).
Inoltre, nel dossier è pure assente il riferimento al principio di precauzione con ripercussioni quindi sulle disposizioni europee in materia di Ogm: il rischio è la perdita di autonomia degli Stati Ue nel vietare quel tipo di coltivazioni sul proprio territorio.
Ma il Ceta, più in generale, si profila come un vero e proprio attentato all’agroalimentare. Per quanto riguarda nello specifico il made in Italy, la partnership commerciale fra Canada e l’Unione riconosce all’Italia solamente 41 tutele a fronte di 811 Dop e Igp registrate. Tra i prodotti compresi nell’accordo entrano il prosciutto di San Daniele, l’arancia rossa di Sicilia, il cappero di Pantelleria, il kiwi di Latina, la lenticchia di Castelluccio di Norcia, la mela dell’Alto Adige, la pesca e nettarina di Romagna, il pomodoro di Pachino e il radicchio rosso di Treviso. Come corrispettivo ai produttori canadesi sarebbe tuttavia consentito di utilizzare per esempio il termine Parmesan (con evidente confusione con il Parmigiano), ma anche di produrre e vendere Gorgonzola, Asiago e Fontina, aprendo di fatto una situazione di ambiguità che renderebbe difficile ai consumatori distinguere il prodotto originale ottenuto nel rispetto di un preciso disciplinare di produzione dall’imitazione di bassa qualità. Una potenziale concorrenza sleale nei confronti del made in Italy che fonda invece la propria capacità di competizione sulla distintività e sulla qualità.
Di fronte a un simile scenario, non resta che auspicare la mancata ratifica dell’intesa. I marchi delle nostre eccellenze hanno conquistato un vasto mercato e una larga diffusione senza alcuna necessità di Ceta o Ttip. Gli Stati Ue hanno l’occasione di dimostrare di tenere più alla salute dei cittadini che non alle esigenze delle multinazionali. Nell’attesa, Coldiretti non lascerà nulla di intentato per convincere i 28 europarlamentari italiani che hanno votato a favore dell’accordo a un opportuno cambio di direzione e, soprattutto, il Parlamento italiano perché faccia mancare la ratifica. Per questo avvieremo una mobilitazione per informare rappresentanti istituzionali, associati, cittadini-consumatori sui rischi concreti che il provvedimento porta con sé.

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CETA, UN GRAVE ATTACCO AL "MADE IN ITALY"

Il nostro presidente nazionale, Roberto Moncalvo, l’ha definito «un grande regalo alle lobby industriali che nell’alimentare puntano all’omologazione e al livellamento verso il basso della qualità». Parole che sottoscriviamo, aggiungendo la preoccupazione anche della Coldiretti del Friuli Venezia Giulia per l’approvazione in Europarlamento lo scorso 15 febbraio, con voti purtroppo anche italiani, del Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement), accordo di libero scambio Ue-Canada.
La questione, sia chiaro, è ancora aperta. l’entrata in vigore è al momento solo provvisoria, necessitando infatti della ratifica dei singoli Parlamenti nazionali, ai sensi di quanto stabilito dal Trattato di Lisbona. La mancata approvazione anche di uno solo di questi, potrebbe bloccare definitivamente la partnership tra i 27 Stati membri e il Canada.
di sovranità degli Stati, anche giudiziaria: analogamente a quanto previsto dal Ttip, le aziende canadesi potranno citare davanti a tribunali arbitrali indipendenti gli Stati o le regioni Ue in caso di ostacolo al commercio nei confronti degli esportatori canadesi. Per fare un esempio concreto: pure una norma sull’etichettatura d’origine potrebbe essere sottoposta a giudizio di fronte alla Corte, con evidente prevalenza dell’interesse delle multinazionali rispetto a quello dei cittadini in merito alla tutela della salute (Oltreoceano le maglie sono molto più larghe, contrariamente a quanto accade da noi, dove la commercializzazione è consentita solo dopo aver fugato ogni dubbio sulla potenziale pericolosità della merce).
Inoltre, nel dossier è pure assente il riferimento al principio di precauzione con ripercussioni quindi sulle disposizioni europee in materia di Ogm: il rischio è la perdita di autonomia degli Stati Ue nel vietare quel tipo di coltivazioni sul proprio territorio.
Ma il Ceta, più in generale, si profila come un vero e proprio attentato all’agroalimentare. Per quanto riguarda nello specifico il made in Italy, la partnership commerciale fra Canada e l’Unione riconosce all’Italia solamente 41 tutele a fronte di 811 Dop e Igp registrate. Tra i prodotti compresi nell’accordo entrano il prosciutto di San Daniele, l’arancia rossa di Sicilia, il cappero di Pantelleria, il kiwi di Latina, la lenticchia di Castelluccio di Norcia, la mela dell’Alto Adige, la pesca e nettarina di Romagna, il pomodoro di Pachino e il radicchio rosso di Treviso. Come corrispettivo ai produttori canadesi sarebbe tuttavia consentito di utilizzare per esempio il termine Parmesan (con evidente confusione con il Parmigiano), ma anche di produrre e vendere Gorgonzola, Asiago e Fontina, aprendo di fatto una situazione di ambiguità che renderebbe difficile ai consumatori distinguere il prodotto originale ottenuto nel rispetto di un preciso disciplinare di produzione dall’imitazione di bassa qualità. Una potenziale concorrenza sleale nei confronti del made in Italy che fonda invece la propria capacità di competizione sulla distintività e sulla qualità.
Di fronte a un simile scenario, non resta che auspicare la mancata ratifica dell’intesa. I marchi delle nostre eccellenze hanno conquistato un vasto mercato e una larga diffusione senza alcuna necessità di Ceta o Ttip. Gli Stati Ue hanno l’occasione di dimostrare di tenere più alla salute dei cittadini che non alle esigenze delle multinazionali. Nell’attesa, Coldiretti non lascerà nulla di intentato per convincere i 28 europarlamentari italiani che hanno votato a favore dell’accordo a un opportuno cambio di direzione e, soprattutto, il Parlamento italiano perché faccia mancare la ratifica. Per questo avvieremo una mobilitazione per informare rappresentanti istituzionali, associati, cittadini-consumatori sui rischi concreti che il provvedimento porta con sé.

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