Udine, il Museo archeologico esempio di accessibilità per tutti

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Il bello è un diritto di tutti e renderlo realmente accessibile e fruibile da tutti, in autonomia, non è solo un dovere, ma una sfida positiva, creativa, progettuale e inclusiva, oltre che una concreta opportunità di sviluppo sociale, occupazionale ed economico. Una sfida che, per esempio, sta vincendo il Museo archeologico di Udine, l’unico in Italia leader di un progetto europeo, “Come-in!”, con 14 partner internazionali, che ha considerato ogni aspetto di inclusione e accessibilità nell’offerta museale. Proprio per questo, la Camera di Commercio ha voluto premiare il Museo udinese con una onorificenza nell’ambito del secondo appuntamento del Future Forum, che si è concentrato proprio sul tema dell’accessibilità a 360° del patrimonio culturale pubblico e su innovativi approcci architettonici, di design e progettuali applicati ai siti storici e turistici, in grado di tenere in considerazione le esigenze di tutti e di tutte le diverse disabilità, sia quelle cui più generalmente facciamo riferimento, sia quelle legate all’avanzare dell’età, sia alle disabilità temporanee, in cui ognuno può incorrere in momenti particolari della vita. La targa è stata consegnata dalla componente di giunta camerale Antonella Colutta all’assessore comunale alla cultura Federico Pirone e alla responsabile del Museo archeologico Paola Visentini. «Condividiamo questo premio con tutti quelli che hanno contribuito al progetto, veramente partecipato – ha sottolineato Pirone –, l’inizio di un percorso che vorremmo riuscisse a incidere sempre più, per cambiare profondamente la concezione da parte di tutti della fruizione dei bei culturali nella nostra città, città che crediamo possa diventare esempio anche per altri territori». Il Museo udinese è partito creando un modello e una griglia di riferimento che tutti i musei e le strutture pubbliche possano utilizzare per autovalutare la propria accessibilità, capendo più facilmente come e dove intervenire. Sono poi state progettate migliorie concettuali, di design e architettoniche, per consentire la più ampia fruizione delle aree museali, anche dal punto di vista dell’approccio comunicativo, digitale e multimediale, e con l’aggiunta di un coinvolgente percorso multisensoriale. Il progetto si completerà non prima di aver ottenuto anche le valutazioni da parte degli utenti stessi, parte integrante e fondamentale del programma. Perché è necessario il coinvolgimento degli utenti finali nell’attività progettuale, come ha evidenziato anche un altro relatore Pete Kercher di “Design for all – Europe”, molto apprezzato nel suo coinvolgente intervento “interattivo” in una Sala Valduga nuovamente al completo, assieme alla Visentini, a Lucia Sarti dell’Università di Siena, Mariagrazia Filetici del Mibact e Livio Petriccione dell’Università di Udine. L’impegno all’accessibilità, ha detto l’esperto inglese Kercher, «deve essere condiviso e parte delle nostre vite, perché è già così. La diversità non è una minaccia, è una nostra caratteristica». Kercher ha fatto un esempio pratico in sala, chiedendo a tutti di alzarsi e facendo sedere via via, per esempio, chi si è rotto un arto una volta nella vita, chi ha genitori anziani con difficoltà motorie, chi porta gli occhiali. «Tutti noi siamo soggetti a diversità, anche momentanee, tutti possiamo aver bisogno di avere un accompagnatore. Bisogna arrivare a progettare gli spazi pubblici avendo in mente questa grande diversità di tutti, oltre che le disabilità riconosciute, e con il coinvolgimento degli utenti finali in ogni fase del processo progettuale». Per Kercher, ci sono «due modi di affrontare l’accessibilità: come problema da risolvere o come sfida alla creatività e all’innovazione. Il primo ha un approccio necessario ma negativo, ci porta alla mera applicazione della normativa. Il secondo invece ci stimola a una progettazione in positivo. La normativa ci vuole, ovvio, però guai a fermarsi lì. È dunque più giusto parlare di creazione di nuovi percorsi che di abbattimento di barriere architettoniche». In questo senso dobbiamo parlare di smart cities, non solo città piene di tecnologia, ma progettate con intelligenza. «Non si può fare, costa troppo, l’abbiamo sempre fatto così. Queste sono le tre vere barriere mentali che dobbiamo superare – ha concluso Kercher –. La parola impossibile non appartiene alla progettualità, perché non si esauriscono mai tutte le possibilità di guardare una questione da diverse angolazioni».