Udine: la crudel zobia grassa, la rivoluzione del 1511

zobia grassaLa rivolta della Crudel Joibe Grasse (in friulano, col significato di Crudele Giovedì Grasso, Crudel zioba grassa nel linguaggio tosco-veneto usato da Gregorio Amaseo) fu una insurrezione contadina scoppiata nel 1511 in Friuli (tratto da wikipedia)

A meno di cento anni dall’occupazione veneziana della Patria del Friuli il malcontento dilagava fra la popolazione, causato dai pesanti privilegi esercitati da clero e nobiltà; a peggiorare la situazione le famiglie nobili erano poi in costante guerra fra loro, il che causava un aumento delle tasse, devastazione del territorio e l’obbligo di prestare servizio militare per il proprio signore.
Il governo veneziano non aveva mai considerato il Friuli allo stesso rango degli altri domini di terra ma aveva interesse a mantenervi il suo predominio per tenere quanto più distanti da Venezia le armate turche e imperiali. Questo atteggiamento si rifletteva anche nelle scelte politiche della dominante, caratterizzate dalla mancanza di provvedimenti atti a migliorare la condizione della popolazione (principalmente rurale) sul piano sociale ed economico.
Ciò acuì l’isolamento della regione (anche dal punto di vista culturale e linguistico) impedendo lo sviluppo di ogni forma evoluta di governo popolare (che le comunità rurali chiedevano sempre più frequentemente) e quindi portando all’esasperazione i rapporti feudali di tipo suddito (contadino) – signore (nobile) a cui i contadini friulani erano sottoposti da secoli. Rapporti quanto mai precari anche per il fatto che la nobiltà, privata del suo antico potere dal governo di Venezia, cercava di mantenere il suo status sociale sfruttando i pochi diritti rimasti e i servigi dovuti dai contadini.

Le prime sommosse popolari
I primi tumulti cominciarono a verificarsi già nel 1509 quando a Sterpo una folla di contadini armati prese possesso del castello, cacciò gli abitanti e lo diede alla fiamme. Era l’ultimo atto di uno scontro che si trascinava da tempo tra gli abitanti di Virco, Flambro e Sivigliano contro i nobili Colloredo, proprietari del castello, accusati di usurpare i pascoli e i boschi della comunità per il proprio tornaconto.
Era stato l’evento che aveva destato maggiormente l’opinione pubblica poiché da diversi anni tutta la regione era scossa da liti e scaramucce mosse dai contadini verso i nobili, i loro famigli, bravi, armigeri o rappresentanti (scontri si verificarono a Spilimbergo, Maniago, Valvasone, Portogruaro, Colloredo, Tarcento).
Nel 1510 un gruppo di nobili friulani di ritorno da Venezia dove erano stati a chiedere maggiori provvedimenti per arginare la situazione, venne intercettato e messo in fuga da un gruppo di contadini armati all’altezza di Zompicchia (agguato di Malazumpicchia).

Gli schieramenti alla vigilia del giovedì grasso 1511
I Savorgnan, famiglia della nobiltà udinese dichiaratamente filoveneziana, cavalcarono il malcontento inasprendo il conflitto sociale, allo scopo di approfittare della situazione per trarne vantaggi personali. La loro politica era basata su un sistema clientelare che li legava direttamente alla popolazione. Nelle loro giurisdizioni concedevano diritti ai contadini o confermavano come tali antiche usanze di sfruttamento dei terreni. In caso di cattivo raccolto aprivano i loro magazzini alla popolazione affamata, concedevano prestiti, ascoltavano il parere dei rappresentanti delle vicinie.
Questo sistema di protezione era mirato a creare un vero e proprio clan, i cui appartenenti presero il nome di “zamberlani” (çambarlans), che si riconoscevano nella figura carismatica di Antonio Savorgnan, talmente vicino ai dominatori veneti da essere nominato comandante generale delle cernide, le milizie armate contadine (che venivano richiamate in caso di guerra). A questa fazione si opponeva il partito degli “strumieri” (strumîrs) cui aderì gran parte dell’antica nobiltà friulana che mal sopportava i tentativi della Serenissima di contenere i loro poteri; alla loro testa erano i membri della famiglia della Torre, nemici giurati dei Savorgnan già dal 1339. Gli strumieri ottennero l’appoggio dell’Impero Austriaco in chiave antiveneziana.

Esplosione della rivolta del Giovedì Grasso

Il giorno di giovedì grasso (27 febbraio 1511) Antonio Savorgnan inscenò un attacco imperiale a Udine (in realtà si trattava di soldati cividalesi comandati da Alvise da Porto, suo nipote), chiamando a raccolta la popolazione per la difesa della città. Nel mezzo del caos creato dal mancato attacco, i bravi dei Savorgnan aizzarono la popolazione in armi al saccheggio delle dimore cittadine dei della Torre cui seguirono, sull’onda della brama di bottino, quelle di tutta la nobiltà udinese (fatta eccezione per il palazzo dei Savorgnan, vero quartier generale della rivolta).
Molti membri delle famiglie della Torre, Colloredo, della Frattina, Soldonieri, Gorgo, Bertolini e altre furono trucidati, i loro cadaveri furono spogliati e abbandonati per le vie del centro, se non lasciati come pasto ai cani o trascinati nel fango e poi gettati in prossimità dei cimiteri. I rivoltosi indossarono poi gli abiti dei nobili inscenando una macabra mascherata e imitando i modi degli originari possessori incarnando di fatto lo spirito di “inversione delle parti” tipico del carnevale. I nobili che riuscirono a fuggire si ritirarono nei loro castelli o, al di là del Tagliamento, nel Friuli Occidentale.
A questo punto si era concluso il piano di Antonio Savorgnan che, rimasto ufficialmente estraneo alle sommosse, aveva di fatto eliminato fisicamente gran parte dei nobili suoi avversari politici. Nel tentativo di evitare eventuali tradimenti fece assassinare due suoi uomini d’arme a conoscenza delle sue implicazioni e ne fece gettare i cadaveri, assieme a quello di una terza testimone, nel pozzo di San Giovanni.

Evoluzione dello scontro

Solo dopo alcuni giorni arrivò in città un contingente armato proveniente da Gradisca che riuscì a riportare l’ordine pubblico, ma non a interrompere la baldoria carnevalesca incentrata sullo scherno nei confronti dei nobili assassinati.
Nel frattempo la scia di violenze si diffuse a macchia d’olio ai territori limitrofi di Udine e pian piano a tutta la regione. Gli abitanti dei villaggi, per lo più contadini, armati come per andare in battaglia assediarono i castelli abitati dalla nobiltà: furono presi con la forza quelli di Spilimbergo, Valvasone, Cusano, Salvarolo e Zoppola. Dell’assedio di quest’ultimo ci rimane testimonianza scritta: presero il castello ‘brusandolo e deturpandolo dalla zima al fondo […] in mezzo alla corte trasseno nuda madonna Beatrice de Freschi de Cucagna, con madonna Susanna decrepita sua madre […] ed Madonna Lunarda Tana, vedova Alvise di Consorti […] usando contro de lei mille rusticità et scherni’ .
Vennero distrutti i castelli di Zucco, Cergneu, Tarcento, Colloredo, Caporiacco, Pers, Mels, Brazzacco, Moruzzo, Fagagna, Villalta e Arcano. Saccheggi nei confronti delle dimore nobiliari si verificarono anche a Tolmezzo, Venzone, e Tricesimo.
A quel punto la fortuna dei Savorgnan comincià a venire meno, e contrariamente ai loro desideri, anche nei loro stessi domini iniziò la protesta e furono presi d’assalto Buia e Pinzano, dove i contadini si rivoltarono contro i loro signori principali fautori della rivolta, venendo sedati a fatica. Non bastando tale rivolta interna, le truppe degli ‘strumieri’ riuscirono a riorganizzarsi presso il castello di Giulio di Porcia, questa volta ottenendo il supporto dei veneziani attraverso il provveditore della serenissima a Pordenone, oltre che di alcuni sacilesi e di circa 800 abitanti della zona di Concordia Sagittaria. Lo scontro decisivo avvenne presso il fiume Cellina, dove la cavalleria (circa 70 cavalieri) e il miglior addestramento degli ‘strumieri’ ebbero la meglio, causando la rotta dei ‘zamberlani’ non più sicuri dell’appoggio veneziano. Quale monito, Giulio di Porcia fece impiccare uno dei capi della rivolta presso il castello di Zoppola, obbligando i prigionieri ad assistere alla scena. Un documento dell’epoca che ne fornisce un resoconto ‘donde habiandoli posti in fuga como castroni spaventati dal lupo […] sarebbero stati tutti sterminati, se non fosse intervenuto il provveditore pordenonese, lamentando che alla Signoria non sarebbe piaciuto si facessero ragione da sé’ .
Il 26 marzo dello stesso anno, un violento terremoto devastò Udine e l’intera regione causando diverse migliaia di vittime. In seguito gli stessi territori furono flagellati dalla peste: questi eventi tragici vennero interpretati dai contemporanei come il segno tangibile del giudizio divino.
Epilogo

Piazza Venerio e la chiesa di San Francesco. Il marmo lucido indica la planimetria del palazzo di Antonio Savorgnan, demolito nel 1549

Il governo di Venezia istituì un tribunale speciale che condannò a morte i maggiori esponenti della rivolta, senza però colpire il vero artefice, Antonio Savorgnan il quale, visto l’esito complessivamente negativo, decise paradossalmente di riparare tra le file degli imperiali che tanto aveva osteggiato, a Villaco, in territorio austriaco.
La vendetta però non tardò ad arrivare poiché una congiura di strumieri organizzò il suo assassinio che avvenne il 27 marzo 1512 all’uscita del duomo di Villaco per mano dei nobili di Spilimbergo e di Colloredo. Il governo di Venezia confiscò i suoi beni nel 1549 e distrusse il palazzo Savorgnan di Udine lasciando i ruderi come monito in quella che venne poi chiamata place de ruvine (ovvero “piazza della rovina” in lingua friulana, attuale piazza Venerio).
La morte del Savorgnan non pose però termine all’insieme di vendette e di ritorsioni innescate dai fatti del giovedì grasso che avevano oramai perduto la dimensione collettiva della rivolta e acquistato il carattere della faida e del regolamento di conti personale. L’ultimo duello legato a queste vicende si verificò nel 1567 tra un nobile d’Arcano e un nobile Savorgnan.
La grande massa dei contadini che aveva partecipato ai moti riprese il lavoro dei campi nelle stesse condizioni di prima, ma il governo della Serenissima decise di prevenire possibili nuove rivolte venendo parzialmente incontro alle richieste degli zamberlani e cioè istituendo l’organismo della Contadinanza, composto da rappresentanti dei contadini che potevano porre il veto alle proposte del parlamento friulano.