Diario elettorale: intervista immaginaria a Ferruccio Saro

da leonarduzzi.eu Ieri “Repubblica” oggi  il “Corriere della sera”, per il senatore Ferruccio Saro da Martignacco non c’è pace, appare in due fotocolor fra i big del Senato. Viene tirato per la giacca da Pisanu, Cazzola, Valducci, Frattini…Dopo l’astensione sul voto di fiducia di giovedì al senato, i segnali di smottamento e di crisi di governo ci sono tutti. 
Saro è stato uno dei tre senatori che l’altro giorno al Senato hanno disobbedito gli ordini di Palazzo Grazioli.
Un dispetto consapevole, che arriva dopo frequentissime riunioni convocate “Al POdere” di Martignacco, il buen ritiro del senatore. Durante quelle riunioni ha sempre confermato il dialogo con Antonione, Compagnon e Montezemolo. Ferruccio è fuori di senno, nemmeno la rottura della seminatrice potrebbe irretirlo così tanto, tuttavia sottolinea:«C’è il tempo, da qui alle elezioni, per dar vita a un nuovo movimento liberal democratico, laico e cattolico, che unisca pezzi importanti della politica e della società per metterlo a disposizione dei moderati italiani».

Senatore Saro, il Pdl, improvvisamente, ha di fatto lasciato la maggioranza che un anno fa ha contribuito a creare. Lei è tra i pochi senatori che l’altro giorno sulla fiducia al decreto sviluppo hanno disatteso la linea ufficiale del gruppo. Perché?
«L’ordine di votare contro il decreto è arrivato all’improvviso e senza alcuna plausibile spiegazione. Le dichiarazioni televisive del ministro Passera e i contenuti del provvedimento del decreto stesso, che il Pdl aveva regolarmente approvato in Commissione, c’entravano poco e niente. Quell’ordine aveva obiettivi più alti: minare la stabilità del governo Monti e la conclusione ordinata della legislatura. Mi è parso subito evidente che dopo le convulsioni sulle primarie, i vertici del Pdl avevano trovato il modo di ricomporsi nell’avversione a Monti e nella ricerca delle elezioni anticipate. La mia idea è che Berlusconi non ci guadagni nulla e che il Paese ci perda molto: un micidiale errore politico. Per questo mi sono opposto».

Quali altri errri imputa al Pdl in questa fase finale di legislatura? «Di errori ce ne sono stati diversi. Ne segnalo due che in gran parte li riassumono: il riflusso a destra su posizioni populiste e antieuropee; la polemica crescente contro quell’agenda Monti che, in realtà, è anche agenda Berlusconi, perché è stato proprio lui, nelle sedi europee, da presidente del Consiglio, a sottoscriverne i capitoli più impegnativi, a partire dall’obbligo di pareggiare il bilancio in tempi strettissimi».

Negli ultimi due anni lei sempre più spesso si è ritrovato su posizioni diverse da quelle del suo partito, ha partecipato a diverse riunioni parlamentari, ha suggerito a Quagliariello le vie d’uscita e ha posto la questione degli ex AN. Il voto di giovedì significa che lei si mette di fatto fuori dal Pdl?
«Negli ultimi due anni ho visto il Pdl rifluire costantemente a destra e, allo stesso tempo, perdere gran parte dei suoi elettori moderati. Per invertire questa tendenza non c’era e ancora oggi non c’è altro da fare che ricollegarsi alle forze di centro e aprire il dialogo con quella sinistra che vuole davvero superare la crisi e riprendere lo sviluppo. Il mio voto di giovedì a favore del governo Monti andava esattamente in questa direzione e se il dovere della coerenza mi porterà lontano dal Pdl me ne farò una buona ragione».

Oggi Il presidente Berlusconi ha ufficializzato la decisione di ricandidarsi alla guida del Pdl. Un gran numero di parlamentari azzurri in queste ore si è affrettato a far sapere di condividerla, lei no. C’è il pericolo che il suo progetto di polo moderato fallisca?

«Nonostante tutto, Berlusconi ha la forza e i titoli per ricandidarsi. E’ anche comprensibile che molti colleghi, compresi i più riottosi degli ultimi tempi, condividano la sua decisione. Io non la condivido, anche se mi rendo conto che, una volta arrivati alla soglia della disintegrazione del Pdl, non restava che un’alternativa: o tornare all’ovile o prendere un’altra strada. Molti sono già tornati, ma gli elettori moderati non li seguiranno, far i quali io stesso, perché non possono condividere un’operazione politica di parte che va obiettivamente contro gli interessi generali in un momento di enormi difficoltà per il Paese».

Alfano avrebbe dovuto segnare il rinnovamento del Pdl aprendo una stagione di ricostruzione del fronte moderato nel segno del Ppe, di fatto si è rimesso alle decisioni di Berlusconi.
«Questo Pdl ha ben poco da spartire con gli ideali europeisti, la compostezza, il senso della responsabilità e della misura del Ppe. E infatti colpisce a freddo il governo Monti nella fase più delicata del suo lavoro; cerca le elezioni anticipate ed elude la riforma elettorale; riprende la via del bipolarismo selvaggio con l’evidente intenzione di schiacciare le forze intermedie nello scontro fra destra e sinistra. Dove sono finiti i buoni propositi iniziali di Angelino Alfano, dal partito degli onesti a tutto il resto?».

Perchè insiste sulla natura selvatica del bipolarismo?
 “Perchè nel nostro paese il bipolarismo è improponibile, come pure una legge elettorale di ispirazione maggioritaria. Occorre tornare al proprorzionale, gli accordi si fano dopo le elezioni.

A questo punto quali scenari immagina per il futuro dei moderati? Andando alle elezioni sotto quali insegne? E con quale candidato premier?

«Immagino la nascita in tempo utile di un nuovo movimento liberal democratico, laico e cattolico, che unisca pezzi importanti della politica.
Sono fiducioso perché da quando, alcuni anni fa, ho iniziato a parlarne con Casini, Fini, Montezemolo e numerosi esponenti del mondo cattolico, questa prospettiva si è avvicinata. Ora siamo al tratto finale. Forse manca ancora quel pizzico supplementare di realismo, umiltà e pazienza che sono necessari ad ogni buona causa politica. La scelta del candidato premier verrà subito dopo».

Lascia un commento