Dopo essere stato ospite lo scorso 5 ottobre del Premio Letterario “Latisana per il Nord-Est”, Moni Ovadia ritorna al Teatro Odeon per aprire il cartellone 2019-2020 realizzato da Comune, Circuito ERT e Centro Iniziative Teatrali. L’artista nativo di Plovdiv andrà in scena sabato 16 novembre alle 20.45, accompagnato dalla fedele Moni Ovadia Stage Orchestra, con – Dio Ride (Nish Koshe), ideale sequel di Oylem Goylem, spettacolo che lo fece conoscere al grande pubblico.
Venticinque anni fa sui palchi italiani arrivava Simkha Rabinovich e la
sua orchestra klezmer per raccontare, attraverso storielle e canzoni, la
lingua, la musica e la cultura Yiddish – quell’inafferrabile miscuglio di
tedesco, ebraico, polacco, russo, ucraino e romeno – e la condizione universale
dell’Ebreo errante, il suo essere senza patria sempre e comunque. Quello
spettacolo, come detto, si chiamava Oylem Goylem.
Ora il personaggio di Simkha Rabinovich è pronto per un nuovo viaggio per
continuare la narrazione di quel popolo sospeso fra cielo e terra in permanente
attesa, per indagarne la vertiginosa spiritualità con lo stile fatto di storie
e di canti, di storielle e musiche, di piccole letture e riflessioni.Moni Ovadia, nato da una famiglia
ebraico-serfardita, dopo gli studi universitari e una laurea in scienze
politiche ha dato avvio alla sua carriera d’artista come ricercatore, cantante
e interprete di musica etnica e popolare di vari paesi. Nel 1984 comincia il
suo percorso di avvicinamento al teatro, prima in collaborazione con artisti
della scena internazionale, come Bolek Polivka, Tadeusz Kantor, Franco Parenti,
e poi, via via proponendo se stesso come ideatore, regista, attore e capocomico
di un “teatro musicale” assolutamente peculiare, in cui le precedenti
esperienze si innestano alla sua vena di straordinario intrattenitore, oratore
e umorista. Filo conduttore dei suoi spettacoli e della sua vastissima produzione
discografica e libraria è la tradizione composita e sfaccettata, il
“vagabondaggio culturale e reale” proprio del popolo ebraico, di cui
egli si sente figlio e rappresentante, quell’immersione continua in lingue e
suoni diversi ereditati da una cultura che le dittature e le ideologie totalitarie
del Novecento avrebbero voluto cancellare, e di cui si fa memoria per il
futuro.