Restaurata a Udine l’opera “San Francesco riceve le stimmate”

È stato presentato oggi, presso il Salone del Parlamento del Castello di Udine il restauro dell’opera “San Francesco riceve le stimmate” conservata, da oltre un secolo, presso le collezioni di arte antica dei Civici Musei e risalente alla fine del XVI secolo. Si tratta di un olio su tela, misure cm. 93 x 129, di proprietà della Parrocchia di Santa Maria Assunta di Fagagna e attribuita alla mano di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio (Milano 1571 – Porto Ercole 1610). Presenti, il Sindaco Pietro Fontanini, l’Assessore alla cultura Fabrizio Cigolot, la Dottoressa Annamaria Nicastro della Soprintendenza archeologica belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia, il Parroco di Fagagna Adriano Caneva, la Conservatrice della Galleria d’Arte Antica Vania Gransinigh, il Dirigente ad interim del Servizio integrato musei e biblioteche Antonio Scaramuzzi, i restauratori Lucio Zambon e Pignagnoli e Luigi Camatta di Sun-Udine. 

In un paesaggio su cui è calata la notte, un fascio di luce illumina un angelo che sostiene il corpo esanime di san Francesco, disteso a terra con gli occhi chiusi. Il suo atteggiamento ha fatto supporre in passato che la scena raffigurasse un momento di estasi mistica, ma la presenza evidente della ferita al costato e alle mani induce a confermare l’episodio delle stigmate che il santo ricevette mentre si trovava presso il romitorio sul monte La Verna e che le biografie antiche documentano come fatto realmente accaduto. Nel ricostruire la vicenda il pittore ha inserito, in secondo piano a sinistra nella composizione, la figura di frate Leone accovacciato attorno a un fuoco insieme a un gruppo di pastori che, secondo le fonti storiche, avrebbero assistito all’evento. In primo piano il pittore si è soffermato sulla descrizione meticolosa e attenta di fiori e piante sui quali il corpo del santo è adagiato.

Sulla base di precisi riscontri documentari, l’esecuzione della grande tela è stata per lungo tempo attribuita al pittore di origini lombarde Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, paternità messa in discussione da alcuni studiosi che invece l’hanno ritenuta una delle cinque copie esistenti di un dipinto oggi conservato nel museo dell’Università di Hartford, negli Stati Uniti e ritenuto l’originale di partenza. Il quadro viene per la prima volta citato nel testamento dell’abate di Pinerolo Ruggero Tritonio, documento redatto il 25 ottobre del 1607, in cui il testatore lasciava a suo nipote, tra le altre cose, un dipinto di Caravaggio raffigurante san Francesco, con l’obbligo di conservarlo e di non venderlo a nessuno. In seguito la tela passò in eredità alla nobile famiglia friulana dei Fistulario e fu il conte Francesco a donarla alla parrocchia di Fagagna nel 1852, a cui tuttora il dipinto appartiene.

Solo due anni dopo l’opera fu sottoposta ad un intervento di restauro da parte del pittore-fotografo Giuseppe Malignani, ma quando una ventina d’anni dopo, Giovan Battista Cavalcaselle ebbe modo di visionarla, la trovò molto rovinata da numerose ridipinture.

A seguito di un ulteriore e improvvido trasferimento del dipinto presso lo studio di un artista che avrebbe dovuto provvedere ad un ennesimo restauro, il 30 maggio 1911 l’allora Prefetto di Udine comunicava al Soprintendente Gino Fogolari (1875 – 1941) di aver disposto il sequestro del quadro, per sospetto di sua alienazione, e quindi il suo trasferimento presso il museo civico di Udine con sede in Castello. Da allora la tela è stata più volte presa in considerazione da studi circostanziati: ritenuta inizialmente autografa da Adolfo Venturi, fu in seguito giudicata una buona copia da Roberto Longhi. Nel 1929 fu rintracciato, presso una collezione privata triestina, un dipinto di analogo soggetto, in seguito passato in proprietà al Wadsworth Atheneum di Hartford, considerato l’originale di cui il quadro udinese sarebbe una replica o una copia. Questa altalenante vicenda critica ha oscurato l’importanza e la bellezza del dipinto attualmente esposto nel percorso espositivo permanente della Galleria d’Arte Antica in Castello a Udine, svilendone in parte il significato e il valore storico-artistico. Come la tela di Hartford proveniente da Malta, esso infatti andrebbe ricondotto al giovanile pennello di Caravaggio e potrebbe, se riconosciuto autografo, apportare nuovi tasselli alla conoscenza del periodo forse più turbolento e produttivo del geniale pittore.

Fino a qualche tempo fa l’opera presentava pesanti ritocchi che ne pregiudicavano la lettura e quindi la valutazione attributiva. Nel 2000 Glauco Benito Tiozzo ha tuttavia avviato un nuovo studio che lo ha condotto a ripristinare, per il dipinto, l’autografia caravaggesca.

Negli ultimi decenni tuttavia, un nuovo restauro era diventato necessario per il deterioramento dei numerosi strati di vernice stesi sulla tela nel corso degli anni, che di fatto avevano scurito la pellicola pittorica, pregiudicando la leggibilità del dipinto. Ad affrontare con professionalità e competenza l’intervento appena conclusosi è stato il restauratore Lucio Zambon che dopo aver riportato la superficie del dipinto alla sua originaria consistenza, ha provveduto al suo risarcimento e alla pulitura delle zone che mostravano i segni dell’oscuramento del tempo. La pulitura effettuata ha così messo in luce alcuni particolari di estrema qualità e bellezza che tornano oggi a splendere insieme a tutto il dipinto. Inoltre, grazie alla generosità Luigi Camatta di Sun Udine che servendosi dell’Art Bonus governativo hanno finanziato questa ulteriore parte del restauro, è stato possibile intervenire anche sulla cornice. Quest’ultima, ripulita da improvvide dorature realizzate in tempi relativamente recenti, è stata ripristinata da Ginevra Pignagnoli allo stato primitivo rivelando la sua origine centro-italiana e mostrandosi coeva al dipinto che da sempre racchiude.